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All'1.1.2004 Rimini ha una popolazione residente di 133.426 unità distinte in
64.347 maschi e 69.079 femmine, dato che costituisce la base di tutte le
elaborazioni riportate nel presente bollettino.
Rimane invariato rispetto all'anno precedente il rapporto di mascolinità,
che vede 93 uomini ogni 100 donne; è uno sbilanciamento non tanto evidente
nelle classi giovanili, dove si rileva una distribuzione pressochè paritaria
tra i sessi, quanto in quelle che superano i 50 anni.
In genere la composizione per età della popolazione è tra gli elementi
demografici più significativi, in quanto denota le caratteristiche della
struttura generazionale; nel caso di Rimini che è un Comune che vede ancora
aumentare la sua popolazione, diversamente da quanto avviene in altre realtà
metropolitane principalmente a causa dell'immigrazione, ponendo l'attenzione
sulle classi di età, si riesce a comprendere meglio come l'immigrazione
giovanile possa condizionare e caratterizzare natalità e mortalità.
Oggi l'età media della popolazione supera lievemente i 44 anni, e un confronto
con i periodi precedenti, nonostante il flusso in arrivo di persone in giovane
età, evidenzia una collettività sempre più sbilanciata nelle classi di età
avanzate. Le persone con età superiore ai 64 anni a Rimini sono 28.161 e
rappresentano il 21% della popolazione. Tuttavia l'indice di vecchiaia,
pari a 166, rimane ancora al di sotto del regionale a 193; in altre parole, a
Rimini ogni 100 adolescenti fino a 14 anni, ci sono 166 anziani che ne hanno
più di 65.
Il tendenziale incremento dello squilibrio tra classi di anziani e di quelle
giovanili emerge anche attraverso l'andamento di altri indicatori quali ad
esempio la dipendenza senile, dipendenza giovanile, ecc., che consentono di
approfondire la conoscenza su specifici elementi che caratterizzano ora la
nostra struttura demografica.
Se detti valori aumentano, in quanto rappresentano la percentuale di individui
giovanissimi ed anziani non autonomi per ragioni demografiche rispetto alla
parte di popolazione attiva, significa che il "peso sociale" di cui i
lavoratori devono farsi carico per il sostentamento di tali classi improduttive
è sempre più pressante.
Nel 2003 abbiamo calcolato un rapporto di 51 individui a carico su 100
potenziali lavoratori.
E' verosimile tuttavia che il valore non sia rappresentativo e che induca ad
una sottostima dell'effettivo carico sopportato dai lavoratori in quanto
realisticamente non tutti quelli che rientrano nel range dell'età lavorativa
di fatto poi risultano occupati.
La suddivisione grafica della popolazione per grandi classi di età produce
la c.d. "piramide", ma in realtà tale termine non è più appropriato alla
nostra realtà, in quanto le frequenze più alte non si restringono, anzi si
allargano, con un visibile sbilanciamento verso le donne; la base va inoltre
restringendosi (assumendo sempre più una forma ad albero) e purtroppo sta ad
indicare anche una natalità non sufficiente a garantire un adeguato ricambio
generazionale.
Si rafforzano le ipotesi già formulate negli anni passati che
lasciano presumere, in futuro, una ulteriore riduzione di natalità allorquando
le ridotte classi femminili della attuale base saranno in età feconda; occorrerà
quindi porre particolare attenzione al fenomeno immigratorio, che se tendesse a
rallentare o ad esaurirsi produrrebbe quel mancato apporto di soggetti giovani
che al momento sembra l'unica risorsa capace di contrastare la denatalità e
dare una spinta alla ripresa degli indicatori demografici. Allo stato attuale
l'indice di fecondità (numero dei nati vivi / donne in età feconda tra 15 e
49 anni x 1000) appare ancora superiore a quello registrato negli anni '90, e
nel 2003 si è attestato a 37.
Significa che nel 2003 sono nati 37 bimbi ogni 1000 donne in età fertile
mentre nel 2002 ne erano nati 41.
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